La pericina è la pera dei Monti Picentini

Una rarità che andrebbe maggiormente promossa dal territorio di appartenenza

Annamaria Parlato 31/01/2024 0

Le pere in generale sono coltivate da migliaia di anni e sono una delle prime frutta ad essere state impiantate dall'uomo. Si pensa che abbiano origini in Asia già nell'antica Cina, in Mesopotamia e in Egitto. I Faraoni egizi le coltivavano considerandole un simbolo di immortalità. Durante il Medioevo, le pere divennero sempre più popolari in Europa. Le varietà europee furono sviluppate e coltivate in monasteri e giardini e nel Rinascimento vennero create nuove varietà attraverso l'ibridazione e la selezione. 

Attualmente, la Cina è il principale produttore mondiale di pere, seguita da altri paesi come l'Italia, gli Stati Uniti, la Spagna e l'Argentina. La diversità delle varietà di pere disponibili ha reso questo frutto una parte significativa della dieta globale. Esistono oggi più di 3.000 varietà di pere in tutto il mondo. Sono ricche di nutrienti, tra cui vitamina C, potassio, fibre e sono anche una fonte di antiossidanti benefici per la salute. Questa frutta è versatile in cucina e può essere consumata fresca, cotta, essiccata o utilizzata per preparare marmellate, succhi e dolci. Alcune varietà di pere, chiamate pere ornamentali, sono coltivate per i loro fiori decorativi piuttosto che per la frutta, diventando alberi molto apprezzati nei giardini per la loro bellezza.

Tra il territorio del comune di Montecorvino Rovella e Giffoni Sei Casali, la pericina è un’antica varietà di pera coltivata sin dai tempi dei Romani sui Monti Picentini. Avevano un ruolo di primo piano anche sulle mense di Greci, come descrive Omero nelle sue citazioni e Galeno, medico del I secolo d.C. che le utilizzò nelle più svariate ricette. Oggi si contano circa un centinaio di alberi secolari tutelati da 64 contadini della Comunità del cibo della pera pericina di Sieti, frazione di Giffoni Sei Casali, e dalla condotta Slow Food Picentini a partire dal 28 dicembre 2006.

Di media grandezza e a polpa fine e zuccherina, questa pera si raccoglie a partire dalla fine di agosto e in settembre; viene quindi esposta al sole su graticci e poi passata al forno per ottenere una migliore conservazione e l’utilizzo durante i mesi invernali anche in pasticceria. La forma è oblunga, il picciolo lungo e legnoso, il suo peso varia da 30 a 50 g. La buccia è verde al momento del raccolto per poi diventare marrone a maturazione completa. Il sapore è dolce e molto aromatico di lunga persistenza. La comunità di Giffoni Sei Casali ha salvaguardato per 20 secoli di storia la rarità di questo frutto che rischia di scomparire. I contadini si sono battuti per evitar l’abbattimento di ulteriori alberi e ogni anno proprio a Sieti si celebra la Festa della pera pericina, grazie alla quale il prodotto viene utilizzato e valorizzato attraverso svariate preparazioni e ricette, di cui quella più tipica è per i calzoncelli alle castagne. Giffoni Sei Casali, il Paese Albergo, si è posto così un obiettivo: concorrere con altri partner d’eccezione a salvare l’antica pera pericina.

Questa comunità locale si è impegnata così a testimoniare la necessaria sensibilità nei confronti della salvaguardia delle identità locali per la tutela dell’ambiente, della genuinità dei prodotti e per la valorizzazione dei territori e delle produzioni tipiche.

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Annamaria Parlato 27/01/2025

I cinque cibi più amati durante l'inverno a Salerno e provincia

I cinque cibi più amati durante l'inverno a Salerno e provincia

Un viaggio nei sapori della tradizione salernitana

L’inverno a Salerno e provincia è un’esperienza sensoriale fatta di profumi e sapori che evocano il calore della tradizione. La gastronomia locale, ricca di ingredienti autentici e preparazioni tramandate di generazione in generazione, offre piatti che riscaldano il corpo e l’anima. Scopriamo insieme i cinque alimenti o cibi più consumati durante i mesi freddi, che rappresentano una perfetta fusione tra gusto e cultura.

1. La pasta e fagioli di Controne con le cotiche

Un piatto rustico e nutriente, perfetto per le giornate fredde. La pasta e fagioli con le cotiche è un simbolo della cucina contadina salernitana, con il sapore intenso delle cotiche di maiale che si sposa con la cremosità dei fagioli.

Ricetta:

  • Ingredienti: 300 g di fagioli di Controne, 200 g di pasta corta, 150 g di cotiche di maiale, 2 spicchi d'aglio, olio extravergine d'oliva, peperoncino, prezzemolo, sale e pepe.
  • Preparazione: Lessare i fagioli e cuocere le cotiche a parte. In una pentola, soffriggere aglio e peperoncino con olio, aggiungere le cotiche tagliate a pezzetti, i fagioli e un po' della loro acqua di cottura. Cuocere la pasta nella stessa pentola e servire con prezzemolo fresco.

2. Il carciofo di Paestum

Questo prodotto IGP, tipico della Piana del Sele, è un ingrediente versatile e molto apprezzato in inverno. Si gusta sia alla brace, condito con olio e prezzemolo, che ripieno e cotto al forno, per un sapore davvero unico e raffinato.

Ricetta (Carciofi ripieni):

  • Ingredienti: 6 carciofi di Paestum, 100 g di pane raffermo, 50 g di formaggio pecorino grattugiato, prezzemolo, aglio, olio extravergine d'oliva, sale e pepe.
  • Preparazione: Pulire i carciofi e allargarne le foglie. Preparare un ripieno con pane, pecorino, aglio tritato, prezzemolo, sale e pepe. Farcire i carciofi, disporli in una pentola con acqua e olio e cuocerli a fuoco lento per circa 40 minuti.

3. La pizza di scarola

Un classico delle festività natalizie e dei mesi invernali, questa pizza ripiena è farcita con scarola, olive, capperi e acciughe. È perfetta come antipasto o piatto unico, e rappresenta un equilibrio perfetto tra semplicità e gusto.

Ricetta:

  • Ingredienti: 250 g di farina, 125 g di burro freddo, 70 ml di acqua fredda, 1 kg di scarola, 100 g di olive nere, 50 g di capperi, 4 filetti di acciuga, olio extravergine d'oliva, sale e pepe.
  • Preparazione: Per la pasta brisè, lavorare la farina con il burro freddo a cubetti fino a ottenere un composto sabbioso. Aggiungere l'acqua fredda e impastare fino a formare un panetto. Far riposare in frigo per 30 minuti. Nel frattempo, saltare in padella la scarola con olive, capperi, acciughe, pinoli e uvetta a piacere, olio, sale e pepe. Stendere la pasta brisè, farcire con il ripieno, richiudere con un altro strato di pasta e infornare a 200°C per 30 minuti.

4. La mela Annurca della Valle dell’Irno

Conosciuta come la "regina delle mele", la mela Annurca trova una forte identità nella Valle dell’Irno, specialmente a Baronissi. Durante l'inverno, è consumata fresca o come base per dolci semplici e genuini, come le crostate o le torte di mele. Il suo sapore acidulo e la consistenza croccante sono ideali anche per accompagnare piatti salati.

Ricetta (Torta di mele Annurca):

  • Ingredienti: 4 mele Annurca, 200 g di farina, 150 g di zucchero, 100 g di burro, 3 uova, 1 bustina di lievito, succo di limone.
  • Preparazione: Montare uova e zucchero, aggiungere farina, burro fuso e lievito. Tagliare le mele a fette sottili e bagnarle con succo di limone. Versare l'impasto in una tortiera, disporre le mele sopra e cuocere a 180°C per 40 minuti.

5. Il baccalà alla salernitana

Un piatto che unisce semplicità e tradizione. Il baccalà è spesso preparato al forno con patate, olive nere di Gaeta, capperi e pomodorini. Questa pietanza rappresenta un must della cucina invernale, soprattutto durante le festività natalizie, grazie al suo sapore intenso e alla capacità di mettere d’accordo tutti a tavola.

Ricetta:

  • Ingredienti: 600 g di baccalà, 500 g di patate, 100 g di olive nere di Gaeta, 50 g di capperi, 200 g di pomodorini, olio extravergine d'oliva, aglio, prezzemolo, sale e pepe.
  • Preparazione: Disporre in una teglia il baccalà ammollato, le patate a fette, i pomodorini, le olive e i capperi. Condire con olio, aglio tritato, origano, prezzemolo, sale e pepe. Cuocere in forno a 180°C per circa 40 minuti.

L'inverno a Salerno e provincia è un viaggio attraverso sapori autentici che celebrano la ricchezza del territorio. Ogni piatto racconta una tradizione secolare e un profondo legame con la terra. Hai un cibo preferito tra questi? Raccontacelo nei commenti!

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Annamaria Parlato 27/10/2023

Il territorio salernitano è ricco di tartufi, prodotti costosissimi ma pregiati

Autunno non è solo castagne, zucca e funghi. E' soprattutto tartufi, pregiati e meno, simbolo di eccellenza gastronomca delle cucine più rinomate. In previsione della ripresa delle nuove passeggiate "Di Food in Tour" in un ricco territorio ancora inesplorato quale è quello dell'Alto-Medio-Sele, intendiamo fornire un piccolo approfondimeto sull'"oro nero" della nostra amata provincia, ingrediente sublime e profumato, utilizzato in cucina per arricchire salati e dolci. 

Quando si parla di tartufo non ci si riferisce solo al Nord o al Centro Italia ma anche al Sud e in particolare a Salerno. Colliano è il comune che ne produce di più ma anche il Cilento ed il Vallo di Diano non sono da meno. La Campania è famosa per la produzione ed esportazione di funghi e tartufi in tutto il mondo e ci sono ben tre direttrici che contraddistinguono la raccolta di queste tipicità: l’Irpinia, il Sannio e la provincia di Salerno. Il tartufo è un fungo che cresce spontaneamente nel terreno accanto alle radici degli arbusti che ne consentono il nutrimento. Una volta maturo sprigiona un profumo intenso capace di attirare gli animali selvatici che scavando nel terreno contribuiscono a propagandarne la specie. Tradizionalmente viene raccolto a mano grazie al fiuto dei cani particolarmente sensibili alla sua presenza. Il tartufo vine apprezzato dagli estimatori per il suo profumo penetrante ed il suo sapore caratteristico. Se grattugiato fresco su un piatto ne diventa il protagonista. Non tutti sanno che il tartufo è ricco di proprietà benefiche oltre che afrodisiache, facilita il processo di digestione, è rimineralizzante e antiossidante e ha un bassissimo contenuto calorico. La sua struttura è costituita da una parte esterna che può essere liscia o ruvida detta peridio di colore chiaro-scuro e una parte interna detta gleba tendente al banco, rosa o marrone, contenente le spore con funzione riproduttiva. Queste caratteristiche morfologiche e organolettiche permettono l’identificazione della specie. I tartufi si suddividono essenzialmente in neri e bianchi di cui questi ultimi costosissimi perché rari. I Romani dall’antichità li conoscevano e li apprezzavano molto, il termine deriva proprio dal latino “terrae tufer” ossia escrescenza della terra. Le prime notizie sui tartufi si ritrovano nella Naturalis Hostoria di Plinio il Vecchio e nel ricettario di Apicio. Un po' meno fu apprezzato nel Medioevo perché ritenuto velenoso ma nel Rinascimento fu riscoperto e portato in auge nelle mense aristocratiche. Caterina De’ Medici fece conoscere il tartufo bianco alla corte di Francia e nel Settecento, venendo abbandonate le spezie, lo si utilizzò per aromatizzare le pietanze. Gioacchino Rossini amava il tartufo nei suoi Tournedos e Camillo Benso Conte di Cavour lo introdusse nelle mense ufficiali per favorire scambi diplomatici con i paesi stranieri. Nel territorio salernitano in questo periodo c’è la raccolta del tartufo estivo o “Scorzone” soprattutto a Colliano sul Monte Marzano e nel Vallo di Diano sino ad arrivare ai Monti Lattari, la parte alta della Costiera Amalfitana. Lo scorzone è un tartufo più economico e meno pregiato di quello nero. Presenta un particolare aroma nocciolato e viene molto apprezzato nella ristorazione e dagli chef stellati. A sud del Vallo di Diano al confine con la Basilicata, vi è invece la presenza di tartufo bianco. Si differenzia da quello nero perché in bocca ha un retrogusto agliaceo. In cucina è consigliabile consumare il tartufo sia bianco che nero a crudo e a lamelle per percepirne tutte le sfumature di sapori.

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Annamaria Parlato 25/04/2023

Il cibo non è "solo cibo", è anche ricordi e sentimenti, integrazione e dialogo interculturale

Il cibo è un elemento essenziale dell'identità culturale e dell'aggregazione sociale. Ogni civiltà ha un proprio codice di condotta che privilegia determinati alimenti e ne vieta altri, influenzati da componenti geografiche, ambientali, economiche e storiche che caratterizzano la cultura e le tradizioni di un popolo. Esso è strumento di appropriazione identitaria, un vettore di scambio culturale, mediatore di relazioni, trama di tradizioni e luogo di dialogo nella costante ricerca del contatto con gli altri.

Nel processo migratorio, il cibo gioca un ruolo cruciale nell'affermazione dell'identità dell'individuo e del gruppo etnico a cui appartiene. Ha il potere di evocare luoghi, persone e momenti particolari, è un elemento storico, sociale e simbolico della vita, è un mezzo di comunicazione che trascende le barriere linguistiche. In primo luogo, il cibo riflette le credenze personali, i valori e le usanze di una particolare cultura. Alcuni alimenti sono considerati sacri e alcuni piatti possono essere consumati solo in circostanze specifiche o festività. In secondo luogo, le persone si connettono al loro gruppo culturale o etnico attraverso modelli alimentari. Il cibo è spesso usato come mezzo per mantenere l'identità culturale e le persone di diversa estrazione culturale mangiano cibi diversi. In terzo luogo, il cibo contribuisce al benessere fisico e mentale di un individuo ed esprime la sua identità culturale attraverso la preparazione, la condivisione e il consumo. Un accesso inadeguato ai cibi culturali può creare stress culturale e influenzare la propria identità e il proprio benessere. In quarto luogo, cucinare e consumare la cucina tradizionale può essere visto come espressione dell'identità culturale. Infine, condividere il cibo e le tecniche di cottura con la famiglia e gli amici dà loro la possibilità di conoscere la propria cultura e aiuta a preservare il passato.

I piatti tradizionali sono una componente importante della storia di un popolo e riflettono le credenze e i valori di una comunità. Ad esempio, la cucina cinese enfatizza l'equilibrio, mentre la cucina indiana è nota per i suoi curry piccanti. Le preparazioni culinarie sono spesso tramandate di generazione in generazione e sono un mezzo per preservare il patrimonio culturale. In molte culture, approntare un pasto è un modo per costruire comunità e riunire le persone.

Gli eventi e i festival gastronomici possono far incontrare le persone e celebrare la diversità sociale, il che può aiutare ad abbattere le barriere culturali. Il cibo può anche essere un modo per costruire comunità e creare connessioni tra persone di diversa provenienza.

Il cibo, in conclusione, può trasformarsi in un potente elemento interculturale perché le persone possono imparare a conoscersi e a rispettarsi reciprocamente. Ad esempio, quando si condivide un pasto con persone di culture diverse, si ha l’opportunità di assaggiare cibi nuovi e di scoprire nuove tradizioni culinarie. Inoltre, il cibo viene utilizzato come mezzo per incoraggiare lo scambio e il dialogo interculturale in contesti come scuole, comunità e eventi pubblici. Ci sono molti esempi di progetti che utilizzano il cibo come strumento di integrazione tra individui di diversa origine e tradizioni. Il progetto "Nutrire la città che cambia" in Lombardia ha come obiettivo l'inserimento di colture tipiche di cittadini residenti a Milano ma provenienti da altre parti del mondo, in particolare da Asia, Africa e America Centro-Meridionale. Dodici ortaggi esotici sono stati sperimentati nelle aziende agricole lombarde coinvolte. L'idea è stata quella di ampliare l'offerta varietale per ridurre l'impatto ambientale delle produzioni locali rispetto all'importazione da terre lontane e per offrire nuove opportunità imprenditoriali agli agricoltori. Ancora il Progetto Halal in Lombardia ha promosso il potenziale del mercato halal presso le aziende milanesi e lombarde attraverso un'azione di formazione e informazione. L'obiettivo è stato presentare l'offerta alimentare dell'eccellenza lombarda presso le comunità islamiche in Lombardia e presso i paesi islamici dell'area del Mediterraneo, del Medio Oriente e del Golfo Persico.

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